3. FRANCESCO TICOZZI “Cecchin” Nato a Brugherio l’1 luglio 1922 - deceduto a Brugherio il 29 giugno 2010. Comandante della 27a Brigata del Popolo operante nel territorio di Brugherio e dei comuni limitrofi (Milano, Carugate, Pessano con Bornago, Cologno Monzese, Monza.) PROFILO Francesco Ticozzi fu uno dei primi partigiani a organizzare la lotta per la liberazione a Brugherio fondando le Brigate del Popolo. Fu comandante della 27a Brigata del Popolo che agì a Brugherio e nei comuni limitrofi. Dotato di un tenace carattere combattivo, si dimostrò sempre ardimentoso organizzando azioni di sabotaggio e di recupero delle armi molto rischiose. Partecipò all’insurrezione organizzando i partigiani negli attacchi alle colonne tedesche in fuga il 23, 24 e 25 aprile 1945. L’INTERVISTA La rocambolesca fuga per il ritorno a casa dopo l’8 settembre. I primi contatti con gli altri partigiani. Inizialmente erano uniti, poi si divisero in brigate diverse (Brigate Garibaldi, Brigate del Popolo…) sulla base di diversi orientamenti politici (comunista, cattolica, ecc.) La formazione delle Brigate del Popolo sotto la direzione di Franco Marra. La cascina Modesta, dimora di Francesco Ticozzi e sede delle Brigate del Popolo. I partigiani delle Brigate del Popolo erano finanziati dal CLN. I soldi li gestiva Ticozzi che distribuiva le paghe settimanalmente ai partigiani delle Brigate del Popolo. Ticozzi e la 27a Brigata del Popolo operò con azioni di sabotaggio e di disarmo. La costruzione dei chiodi a 4 punte nelle cascine e i loro lancio sull’autostrada per bloccare le colonne tedesche. Il contatto con soldati sbandati di diversa provenienza europea. La collaborazione con loro con ingresso nella resistenza. Anche la popolazione locale aiutò molto gli sbandati stranieri. La collaborazione tra le diverse Brigate, non ci furono mai diverbi. L’insurrezione armata iniziò il giorno 23 e il 23 e 24 Ticozzi era a Milano. I partigiani nascosti nelle fogne buttavano le bombe a mano sotto i camion dei fascisti. Il 25 aprile, l’insurrezione a Brugherio. L’arresto di Ticozzi nell’ottobre del 1944 alla Cascina Modesta operata dai Fascisti. 20 giorni in carcere, poi, un feld-maresciallo tedesco, in contrasto con i fascisti, lo fece scarcerare. L’uccisione di Luigi Teruzzi alla Pobbia. Dopo l’insurrezione, i politici non aiutarono i partigiani. Il ruolo della Cascina Modesta nella quale nacque la 105a Brigata Garibaldi, poi anche le 26a, 27a, 28a Brigate del Popolo. Il ruolo politico di Franco Marra, capo delle Brigate del Popolo che andò alle dipendenze di Enrico Mattei. L’importanza delle paura: la paura è un antidoto che ti aiuta a sopravvivere, a non agire senza calcolare il rischio. L’aiuto dei contadini alla resistenza. Le brigate partigiane di Brugherio nacquero nelle cascine. Dopo la liberazione, i dissidi tra le Brigate Garibaldi e quelle cattoliche, incomprensibili nelle campagne di Brugherio; i partigiani costretti a elemosinare il lavoro abbandonati dai politici. I mille lavori del dopoguerra. Il contributo della squadra dell’oratorio alla resistenza: sabotaggi, chiodi sulle autostrade… La costruzione dei chiodi a 4 punte nelle cascine. Erano robusti ed efficaci per tagliare le coperture degli autocarri tedeschi e fascisti. La Brigata Matteotti di Cernusco sul Naviglio. Le azioni ardimentose di disarmo. I nascondigli delle armi nelle campagne. (ANPI Brugherio)
7. PAOLO MIGNOSI Nato a Palermo il 19 marzo 1924 – deceduto a Brugherio il 7 febbraio 2013. Partigiano della 113a Brigata Garibaldi SAP Croce al Merito di Guerra. PROFILO Siciliano di origine, dal 1968 visse a Brugherio fino al decesso. Negli anni della guerra di Resistenza aveva militato nella 113a Brigata Garibaldi, con la quale condusse a termine varie azioni a partire dall’estate 1944, soprattutto nella zona sud ovest di Milano e a Corsico. Il 24 Aprile del 1945, prese parte a un’azione nel quartiere milanese di Niguarda (quartiere che venne liberato la sera prima del 25 Aprile) dove i partigiani riuscirono a disarmare un posto di blocco fascista e si impossessarono di tre mitra, due fucili, una pistola Beretta e una coperta militare. Il pomeriggio dello stesso giorno tenne alcuni comizi in fabbriche della Barona, per convincere gli operai all’insurrezione popolare in programma il giorno dopo, con la definitiva cacciata dei nazifascisti. Il 25 Aprile, a Ronchetto sul Naviglio, prese parte a uno scontro a fuoco contro una pesante autocolonna tedesca in ritirata. Nell’azione, persero la vita tre partigiani e Paolo Mignosi rimase ferito. L’INTERVISTA Mignosi partecipò alla resistenza a Milano e dintorni. La sua scelta di aderire alla resistenza avvenne in ambito operaio. Vide antifascisti bastonati nel ventennio. Scelse la resistenza per amor patrio avvinto dalle lotte risorgimentali. I nemico di sempre (la Germania) era diventato padrone in casa nostra. Subito dopo l’8 settembre, capì bene che la guerra non era finita, continuava. In fabbrica, alla Caproni dove lavorava, c’erano armi e munizioni. Mignosi e altri resistenti le presero e le portarono a Cernobbio in attesa degli ordini del comando di Milano di resistenza ai tedeschi. L’ordine non arrivò, nascosero le armi e rientrarono a Milano alla spicciolata. Qualcuno di loro fu catturato e fucilato al campo Giuriati, incluso Giovanni Cervi, dirigente della Caproni. Mignosi non rientrò subito in fabbrica e se la cavò. Pochi giorni dopo, rientrato in fabbrica, cercò alcuni compagni coi quali si recò a Erba per aderire alle prime formazioni partigiani di Giustizia e Libertà. Con loro, iniziarono le prime azioni di disturbo. Poi, per un periodo, dovette assentarsi per problemi di salute. Rientrato, prese contatti con la 113a Brigata Garibaldi. Poi la sua attività partigiana continuò senza interruzioni fino alla liberazione. In uno scontro a fuoco contro una colonna tedesca che fu poi fermata a Ronchetto sul Naviglio, morirono tre partigiani della 113a SAP e Mignosi fu ferito. Scavalcò un reticolato e si trovò ospite di una famiglia della zona Barona. Bloccato a letto, non gli fu possibile condividere la gioia della popolazione nelle giornate della liberazione. Attese i giornali dell’Italia libera come l’ossigeno. Da dopo l’8 settembre non andò più in Fabbrica fino alla liberazione. Poi, rientrò dopo il 25 aprile. Quando andò a Erba, prese il contatto con Otto, che morì a Mauthausen. Il giorno dopo il suo ricovero nella famiglia della Barona, suo padre venne a trovarlo. Fu curato nei giorni successivi da un medico della 113a. La Caproni, dopo la liberazione, fu gestita dai lavoratori e cambiò produzione riparando mezzi pesanti come camion lasciati dagli alleati, vagoni ferroviari, ecc. finché fallì. Il tentativo fu quello di trasformare l’industria bellica in industria di pace. Tornarono al lavoro anche ex deportati rientrati dalla Germania. Nel 1940, Mignosi aveva 16 anni è già lavorava alla Caproni. Con gli scioperi del marzo ’43, gli operai volevano soprattutto che la guerra finisse. Da quegli scioperi si arrivò al 25 luglio, la scossone al regime. Il 25 luglio non c’era un fascista per strada. L’Italia, dopo il 43 fu divisa in due: l’Italia sotto la Repubblica di Salò e l’Italia del sud. Le 4 giornate di Napoli del 1943 rimangono storiche. Quell’Italia ha visto il fascismo del ventennio e non le crudeltà della Repubblica di Salò. (ANPI Brugherio)
10. CARLO LEVATI - “Partigiano Tom” Nato a Vimercate il 29 1 1921 – deceduto a Vimercate l’8 aprile 2012 (giorno di Pasqua) all’età di 91 anni. Partigiano del 1° Distaccamento della 103a Brigata Garibaldi operante nel Vimercatese e Brianza Orientale. PROFILO Carlo Levati è stato l’ultimo di sei fratelli di una famiglia operaia di Vimercate (MB). Dopo la frequenza scolastica, trovò lavoro a Milano come apprendista termoidraulico. La domenica suonava la tromba nella banda cittadina col fratello Felice. Venne chiamato al servizio di leva alla caserma di Pavia, secondo Genio Pionieri, poi alla Compagnia distaccata a Belgioioso e quindi mandato a Dronero come guardia di frontiera col compito di trombettiere di servizio. Con l’entrata in guerra, si trovò a Puin, sopra Genova, come capostazione di una fotoelettrica antiaerea. Da qui, l’8 settembre 1943, iniziò il suo esodo per raggiungere Vimercate e sfuggire ai nazi-fascisti. Da sempre contro il regime, col comunista Aldo Motta nacque l’idea di combattere contro la guerra. Dopo vari tentativi di aggregazione e di contatti che non produssero quanto atteso, tornati a Vimercate, costituirono il 1° distaccamento della 103a Brigata Garibaldi. Il loro rifugio fu il “cascinotto” del Mansin. Questo punto divenne la base di partenza delle azioni intraprese fino all’ultimo attacco al campo di aviazione di Arcore (Officine Bestetti) del 29 dicembre 1944. Sfuggito alla cattura e condannato a morte in contumacia dal Tribunale Speciale fascista, si rifugiò sui colli lecchesi dove venne a sapere della morte per fucilazione dei suoi compagni. Il 25 aprile, scese a Vimercate e gli venne affidato il comando per il mantenimento dell’ordine pubblico. Scortò il gerarca fascista Farinacci e assistette alla sua fucilazione. Si mise a disposizione del Comando della Divisione “Fiume ADDA” che portò la sua sede a Vimercate in attesa dell’arrivo degli Anglo-Americani. Divenne quindi segretario della sezione del P.C.I. vimercatese dedicata a “Iginio ROTA”, Consigliere e socio fondatore della Cooperativa “Martiri Vimercatesi”, fondatore e presidente della locale sezione ANPI “Martiri Vimercatesi”, Consigliere del Comitato Provinciale ANPI di Milano, Presidente del “Comitato Unitario Antifascista per l’ordine repubblicano” di Vimercate, Fondatore dell’Auser-Filo d’Argento di Vimercate che si occupa di solidarietà e soccorso a pensionati bisognosi di assistenza, aderente alla lega dei pensionati SPI-CGIL. É stato sempre impegnato nelle scuole, di ogni ordine e grado per portare la sua viva testimonianza e tenere viva la Storia nelle giovani generazioni. (ANPI Brugherio)
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