Emilia, da Ne al tragico rogo della Triangle

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La festa della donna, l'8 marzo, ha fra le sue origini un fatto tragico avvenuto a New York nel 1911, l'incendio della Triangle Waistshirt Company, un opificio dove lavoravano in larghissima maggioranza appunto donne: il grave incidente provocò la morte di 146 persone, in gran parte bruciate, e in qualche caso lanciatesi dal nono e decimo piano dell'Ash Building, dove la fabbrica aveva sede. La tragedia destò vasta impressione internazionale e diede un forte impulso alle lotte sindacali per migliorare le condizioni di lavoro, all'epoca durissime anche nella progredita America, che pur apparendo agli occhi di milioni di immigrati come la terrà delle opportunità, la mecca della civiltà e della liberazione dal bisogno, era dominata dalle logiche spietate del capitalismo Otto-Novecentesco, che tendeva allo sfruttamento dei lavoratori badando ancora troppo poco alla loro sicurezza, salute e diritti, nonostante il sindacalismo avesse già una storia pluridecennale. Alla Triangle, infatti, piena di materiali infiammabili e ubicata in un luogo incongruo come un grattacielo, le porte dei laboratori erano chiuse dall'esterno per paura che gli operai facessero pause troppo lunghe o commettessero furti. Inoltre l'unica via di fuga era un montacarichi, che fu preso d'assalto dai fuggitivi ma garantì la salvezza solo ad alcuni dei 400 lavoratori dell'azienda. Le rivendicazioni sindacali successive al dramma permisero, pochi mesi dopo, nel 1912, il varo negli Stati Uniti delle prime leggi sulla sicurezza sui luoghi di lavoro. Fu quello uno dei primi successi in questo campo, che ebbe subito una connotazione anche di riconoscimento dei diritti delle donne, dal momento che in opifici come la Triangle erano impiegate soprattutto ragazze. Ancora oggi, ogni 8 marzo, a New York si svolge ai piedi dell'Ash Building una manifestazione commemorativa dei fatti del 1911. L'elenco delle vittime della Triangle è composto da tanti nomi di donne, l'età è quasi sempre bassissima, spesso inferiore ai 20 anni, e fra i cognomi spiccano quelli italiani o ebraici dell'est Europa. Fra essi, ce n'è uno, Emilia Prato. Era una giovane donna di 21 anni, figlia di immigrati italiani, per la precisione della Val Graveglia, alle spalle di Chiavari. A lei è dedicata una mostra realizzata grazie alle ricerche di Getto Viarengo, studioso di storia locale. Venti pannelli con documenti e foto d'epoca raccontano non solo la storia della Triangle, ma anche quella di immigrazione e di lavoro di Emilia e della sua famiglia. La mostra è in tour per la provincia su iniziativa della Cgil di Genova. PATRIZIA BELLOTTO, SEGRETARIA CAMERA DEL LAVORO GENOVA A Emilia Prato è intitolato da gennaio un giardino a Prato di Ne, in alta Val Graveglia, dove nacque nel 1861 suo padre Andrea. Nel '79, a 18 anni emigrò, per povertà ma anche per sfuggire alla leva, come il 50% dei residenti in valle. Si imbarcò per New York nel porto di Le Havre, nel nord della Francia, che raggiunse in treno. Altri ci arrivavano a piedi. Ci voleva un mese. GIORGIO 'GETTO' VIARENGO, RICERCATORE STORICO La storia di Emilia Prato apre uno squarcio su un'epoca, quella a cavallo fra Ottocento e Novecento, che fu segnata in Italia dal fenomeno dell'emigrazione verso le Americhe. Iniziò allora, per motivi economici, lo spopolamento delle valli del nostro Appennino, un fenomeno particolarmente drammatico nell'entroterra genovese, continuato in modo implacabile fino ad arrivare oggi al più totale abbandono. Il fenomeno dell'emigrazione in Val Graveglia è antichissimo, essendo terra di confine vicinissima a quello che in età pre-unitaria era il Ducato di Parma. I contadini si spostavano seguendo i percorsi dei mercati e delle fiere. GIORGIO 'GETTO' VIARENGO, RICERCATORE STORICO La Val Graveglia, oggi spopolata, ha conservato fino a tempi recentissimi un'integrità culturale che l'ha resa interessantissima per gli studi etno-antropologici. GIORGIO 'GETTO' VIARENGO, RICERCATORE STORICO (Provincia Genova)