Dario Fo legge la poesia di Sofri

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Nei ghetti d'Italia questo non è un uomo Di nuovo, considerate di nuovo Se questo è un uomo, Come un rospo a gennaio, Che si avvia quando è buio e nebbia E torna quando è nebbia e buio, Che stramazza a un ciglio di strada, Odora di kiwi e arance di Natale, Conosce tre lingue e non ne parla nessuna, Che contende ai topi la sua cena, Che ha due ciabatte di scorta, Una domanda d´asilo, Una laurea in ingegneria, una fotografia, E le nasconde sotto i cartoni, E dorme sui cartoni della Rognetta, Sotto un tetto d´amianto, O senza tetto, Fa il fuoco con la monnezza, Che se ne sta al posto suo, In nessun posto, E se ne sbuca, dopo il tiro a segno, Ha sbagliato! Certo che ha sbagliato, L´Uomo Nero Della miseria nera, Del lavoro nero, e da Milano, Per l´elemosina di un´attenuante Scrivono grande: NEGRO, Scartato da un caporale, Sputato da un povero cristo locale, Picchiato dai suoi padroni, Braccato dai loro cani, Che invidia i vostri cani, Che invidia la galera (Un buon posto per impiccarsi) Che piscia coi cani, Che azzanna i cani senza padrone, Che vive tra un No e un No, Tra un Comune commissariato per mafia E un Centro di Ultima Accoglienza, E quando muore, una colletta Dei suoi fratelli a un euro all´ora Lo rimanda oltre il mare, oltre il deserto Alla sua terra - A quel paese! Meditate che questo è stato, Che questo è ora, Che Stato è questo, Rileggete i vostri saggetti sul Problema Voi che adottate a distanza Di sicurezza, in Congo, in Guatemala, E scrivete al calduccio, né di qua né di là, Né bontà, roba da Caritas, né Brutalità, roba da affari interni, Tiepidi, come una berretta da notte, E distogliete gli occhi da questa Che non è una donna Da questo che non è un uomo Che non ha una donna E i figli, se ha figli, sono distanti, E pregate di nuovo che i vostri nati Non torcano il viso da voi. Adriano Sofri